
Il rituale collettivo della realtà in scena.
The collective ritual of reality on stage.
Reality, finzione, desiderio e Super-Io sociale nell’era delle relazioni-spettacolo
Perché ancora oggi milioni di spettatori restano incollati a programmi la cui sigla, spesso una hit come “Love the Way You Lie”, sarebbe già di per sé sufficiente a soddisfare la sete di curiosità? Dietro la risposta facile, secondo cui “ci piace il trash”, si cela qualcosa di più profondo: un bisogno antropologico di rituali semplificati, un piacere ambiguo per la finzione dichiarata, una fame di narrazioni collettive che ordinano il caos. E soprattutto la costruzione di un nuovo Super-Io sociale, spettacolare e istantaneo, che plasma il desiderio e l’identità di massa.
1. Il bisogno di rituali semplificati nel caos della complessità
La vita reale, soprattutto nelle sue dimensioni affettive e relazionali, è infinitamente più complessa e imprevedibile di quella da copione dei reality show. I format televisivi, offrono rituali artificiali, chiari e rassicuranti: c’è lui, c’è lei, c’è il tentatore, c’è il dolore, c’è la scelta. Tutto si svolge in maniera esplicita, ordinata, ritualizzata, quasi infantile, senza le ambiguità e i rischi del mondo reale. Si tratta di narrazioni a bassa complessità, con ruoli fissi e sentimenti previsti sempre in scena. Il loro funzionamento richiama le grandi mitologie, ma in forme dozzinali e facilmente digeribili.
2. Il fascino della finzione dichiarata: rêverie protetta per adulti
Più la messa in scena è esplicita, più rassicura. Sappiamo che è tutto finto e, proprio per questo, possiamo proiettare, identificarci, giocare con queste storie senza rischiare nulla. Si crea una complicità sottile tra spettatore e programma. È come se ci si dicesse: lo sappiamo che è teatro, ma lasciamoci andare comunque. Come nell’infanzia con Babbo Natale, ciò che conta non è la realtà, ma la possibilità di abitare una zona protetta di sogno e rappresentazione, dove la rêverie è possibile e persino incoraggiata.
3. Il desiderio prefabbricato: il circolo del referente
Reality e format amorosi offrono modelli di desiderio preconfezionati. Ogni ruolo è previsto: chi è desiderabile, chi è vincente, chi è il tradito, chi è la vittima, chi incarna la donna autentica, chi la figura artefatta. Lo spettatore può identificarsi, ma soprattutto sentirsi in relazione con qualcosa di immediatamente riconoscibile e rassicurante, anche se manifestamente artefatto. Questi programmi diventano nuovi referenti collettivi, suggeriscono come si sta insieme, come si litiga, come si provano sentimenti. Semplificano l’ambivalenza, offrono scorciatoie emotive e creano una comunità di emozioni standardizzate.
4. Successo reale o successo indotto?
Si tratta di entrambe le cose. Questi format sono sistemi complessi che si autoalimentano attraverso pubblicità, social network, influencer; in questo senso il successo è costruito, promosso e incentivato. Tuttavia, funzionano perché intercettano bisogni universali: la relazione, il triangolo amoroso, la gelosia, la scelta, la prova dell’amore. Gli stessi archetipi individuati da Freud sono oggi messi in scena in modo accessibile e spettacolare. La macchina sociale crea il bisogno e lo soddisfa, ma l’essere umano rimane affamato di storie, rituali, modelli.
5. L’eterno ritorno dell’umano
I temi profondi non cambiano: desiderio, gelosia, riconoscimento, scelta, esclusione. Cambiano i linguaggi e i mezzi, ma il bisogno di vedere rappresentati questi passaggi fondamentali dell’esperienza resta. L’uomo contemporaneo, iperconnesso e digitale, sembra ancora più bisognoso di narrazioni semplici e forti per dare forma a un mondo interno sempre più frammentato e caotico.
6. Addomesticamento del desiderio: il reality come dispositivo culturale
Questi programmi sono dispositivi di addestramento simbolico. Insegnano a sentire e a esprimersi secondo canoni standardizzati. Trasformano il desiderio in consumo, la relazione in spettacolo, l’intimità in prestazione pubblica. Mascherano il caos reale sotto una superficie di ordine fittizio e condiviso.
Il narcisismo di massa e il nuovo Super-Io sociale
I reality sono specchi deformanti in cui il soggetto contemporaneo si riconosce senza mai mettersi realmente in gioco. Lo spettatore non solo osserva, ma giudica, commenta, partecipa. Le emozioni sono esposte, la privacy è abolita, il pathos è filtrato e reso facilmente digeribile. Si soffre e si gioisce in modo simulato. L’immagine di sé viene modellata sullo sguardo dell’altro: si esiste soltanto se si è visti, commentati, approvati. Questo narcisismo non è più un dramma privato, ma una condizione pubblica e seriale.
Il Super-Io sociale, in tale contesto, non si presenta più come la coscienza morale freudiana, ma come una giuria diffusa e istantanea. Non esistono regole dure, ma una molteplicità di micro-norme su ciò che è accettabile, desiderabile, ridicolo o “cool”. Il rischio maggiore non è più la colpa, ma la perdita di reputazione, la figuraccia, l’esclusione dal gruppo. Si è considerati buoni solo se approvati, cattivi se esclusi o ridicolizzati.
Dalla tragedia alla soap opera: la fine del limite
Nella narrazione tragica classica, l’eroe affronta la legge, il destino, la colpa. La perdita si fa universale, la sofferenza si trasforma in esperienza. Il pubblico attraversa la catarsi, l’angoscia, il lutto, il confronto con il limite.
Nei reality e nei format contemporanei, invece, i protagonisti non sono eroi ma maschere seriali. Non esiste alcun rischio reale, non esiste il destino, non esiste la colpa autentica. La sofferenza è estetizzata, reversibile, spettacolarizzata. Il pubblico non vive più la catarsi, ma si nutre di micro-scandali e di un pathos addomesticato. La fatica del vivere viene anestetizzata, non trasformata.
Conclusione
Il narcisismo contemporaneo è alimentato e normato dai format televisivi: il Sé deve essere costantemente visibile, approvato, condiviso, e perfino la sofferenza diventa una performance socialmente spendibile. Il Super-Io sociale richiede soltanto aderenza alla visibilità, non profondità o autenticità. Manca la tragedia, manca il limite, e rimane soltanto la paura della realtà, che il format addomestica e rimanda indefinitamente.
Questa trasformazione produce soggetti più fragili, dipendenti dall’approvazione esterna, incapaci di tollerare il dolore, il fallimento e la perdita. La tragedia era scuola di limite. Il reality è palestra di autogiustificazione e di reinvenzione continua.
“Love the Way You Lie”: Beyond Oedipus – Summer Edition
Reality, fiction, desire, and the social Superego in the era of spectacle relationships
Why do millions of viewers still remain captivated by programs whose theme song, often a hit like “Love the Way You Lie”, would already suffice to satisfy their curiosity? Beneath the easy explanation that “people simply enjoy trash TV”, there is something much deeper. There is an anthropological need for simplified rituals, an ambiguous pleasure in declared fiction, and a hunger for collective narratives that impose order on chaos. Above all, there is the construction of a new social Superego, spectacular and instantaneous, which shapes desire and mass identity.
1. The need for simplified rituals in the chaos of complexity
Real life, especially in its emotional and relational dimensions, is infinitely more complex and unpredictable than the scripted world of reality television. Television formats, offer artificial, clear, and reassuring rituals. There is him, there is her, there is the tempter, there is pain, and there is the choice. Everything unfolds in an explicit, orderly, ritualized way, almost childlike, without the ambiguities and risks of real life. These are narratives of low complexity, with fixed roles and predictable emotions constantly on display. Their functioning recalls the great mythologies, though in a more trivial and easily digestible form.
2. The appeal of declared fiction: protected rêverie for adults
The more explicit the staging, the more reassuring it becomes. Everyone knows it is fake, and precisely for this reason, we can project, identify, and play with these stories without real risk. A subtle complicity is established between viewer and program. It is as if we are saying to ourselves that we know it is theatre, but we allow ourselves to be swept along anyway. As in childhood with Santa Claus, what matters is not reality itself, but the possibility of inhabiting a protected space of dream and representation, where rêverie is possible and even encouraged.
3. Prefabricated desire: the circuit of the referent
Reality shows and romantic formats offer prefabricated models of desire. Every role is predetermined: who is desirable, who is the winner, who is betrayed, who is the victim, who represents the authentic woman, who embodies the artificial figure. The viewer may identify, but above all, feels connected to something immediately recognizable and reassuring, even when it is blatantly artificial. These programs become new collective referents, suggesting how to be together, how to argue, how to feel emotions. They simplify ambivalence, offer emotional shortcuts, and create a standardized emotional community.
4. Real success or manufactured success?
Both aspects are present. These formats are complex systems that sustain themselves through advertising, social networks, and influencers, and in this sense, their success is constructed, promoted, and incentivized. However, they function because they tap into universal needs: relationship, love triangle, jealousy, choice, the test of love. The same archetypes identified by Freud are now staged in accessible and spectacular ways. The social machine creates the need and then satisfies it, but human beings remain hungry for stories, rituals, and models.
5. The eternal return of the human
The deeper themes do not change. Desire, jealousy, recognition, choice, exclusion remain fundamental. Languages and media may change, but the need to see these crucial stages of experience represented persists. Contemporary people, hyperconnected and digital, seem even more in need of simple and strong narratives to give form to an increasingly fragmented and chaotic inner world.
6. The domestication of desire: reality TV as a cultural device
These programs are symbolic training devices. They teach how to feel and express oneself according to standardized canons. They transform desire into consumption, relationships into spectacle, intimacy into public performance. They mask real chaos beneath a surface of shared and fictitious order.
Mass narcissism and the new social Superego
Reality television serves as a distorting mirror in which contemporary subjects recognize themselves without ever truly challenging themselves. The viewer does not merely watch, but also judges, comments, and participates. Emotions are displayed, privacy is abolished, and pathos is filtered and made easily digestible. People suffer and rejoice in a simulated way. The self is shaped by the gaze of others. One exists only if seen, commented on, and approved. This narcissism is no longer a private drama, but a public and serial condition.
Within this context, the social Superego is no longer Freud’s moral conscience, but a diffuse and instantaneous jury. There are no longer strict rules, but a multitude of micro-norms governing what is acceptable, desirable, ridiculous, or approved. The greatest risk is no longer guilt, but loss of reputation, embarrassment, or exclusion from the group. One is considered good only if approved, and bad if excluded or ridiculed.
From tragedy to soap opera: the disappearance of the limit
In classical tragic narrative, the hero confronts law, destiny, and guilt. Loss becomes universal and suffering is transformed into experience. The audience experiences catharsis, anguish, mourning, and a confrontation with limits.
In reality shows and contemporary formats, on the other hand, the protagonists are not heroes but serial masks. There is no real risk, no destiny, no genuine guilt. Suffering is aestheticized, reversible, and spectacularized. The audience no longer experiences catharsis, but instead consumes micro-scandals and a domesticated form of pathos. The effort of living is anesthetized, not transformed.
Conclusion
Contemporary narcissism is fueled and regulated by television formats. The self must be constantly visible, approved, and shared. Even suffering becomes a socially marketable performance. The social Superego demands only adherence to visibility, not depth or authenticity. Tragedy is absent, as is the sense of limit. Only the fear of reality remains, which the format continually tames and postpones.
This transformation produces more fragile subjects, dependent on external approval and unable to tolerate pain, failure, and loss. Tragedy was a school of limits. Reality television is a gymnasium for self-justification and continual reinvention.

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